Il ruolo nella comunità, con qualche frizione

Abbiamo visto come i Francescani arrivarono a Borgo a Mozzano, sotto la spinta di grandi predicatori, il cui passaggio e la cui fama avevano indotto la gente a richiedere, con forza ed in più occasioni, la presenza dei religiosi, cosa che avvenne a partire dal 1514, nella casa attigua all’oratorio del SS. Crocifisso e poi con la costruzione del grande convento di cui stiamo trattando; cosa che è collegata ad un momento molto importante nella storia del movimento francescano, che vede l’affermarsi dell’“Osservanza”, a cui appartengono i frati venuti al Borgo, fino al 1597, data nella quale il convento passa, come già detto, ai Padri Riformati.

Poco tempo dopo questo passaggio, i frati persero i diritti sull’oratorio del SS. Crocifisso, perché la Compagnia della suddetta chiesa li cedette ai Serviti di Lucca, cosicché, come dice Giacomo Amaducci nel libro pubblicato dalla Misericordia nel 1990, “ne seguirono liti che si perpetrarono per circa 12 anni”.

Nei secoli XVII e XVIII non ci furono mutamenti nelle famiglie francescane e, pertanto, anche la vita del convento del Borgo non subì mutamenti o sconvolgimenti significativi.

Giacomo Amaducci ci dice che i francescani “cominciarono ad inserirsi nella Comunità ed essere apprezzati”, tanto che, nelle delibere della Comunità di Borgo a Mozzano del secolo XVIII, vengono espressamente citati in più occasioni “i Padri del Convento”. La chiamata di un religioso era il primo atto del “discolato” che i Governatori facevano; di fronte ai lui avvenivano elezioni, atti di giustizia e tutto ciò che imponeva un controllo di imparzialità. Scrive l’Amaducci: “Rare volte troviamo la presenza di un sacerdote che non sia un francescano, ma tale presenza risultava solo per indisposizione dei frati. L’entrata nella comunità fu completa; oltre ad essere presenti nella vita politica presero autorità anche nella vita religiosa, creando però gelosie e discordie, come riportano le cronache del Santini, al riguardo della erezione della Via Crucis nella chiesa di S. Rocco nell’anno 1779”. Dalle suddette cronache l’Amaducci riporta alcuni commenti taglienti espressi dall’autore: “vengo ora a parlare della Via Crucis eretta nella nostra chiesa, che attesa la guerra fratina tanto andò in lungo, di tanti scandali e discordie fu origine, e crebbe nella spesa di scudi otto… era allora Guardiano in questo convento del Borgo il Padre Pier Antonio di San Romano uomo quanto lungo di statura altrettanto corto di dottrina capacità e prudenza” tanto che “il rettore aveva detto all’altare che, a dispetto de guardiano e de frati si era ottenuto l’erezione della Via Crucis”.

L’Amaducci ci dice che la suddetta disputa durò tre anni. “Ma l’espressione più viva del loro ministerosi estrinsecava nella predicazione che era ritenuta allora il mezzo più efficace e più sentito da tutti per la crescita spirituale del popolo… Nella Deliberazione del 26 febbraio 1632 – ci dice ancora Amaducci – la predicazione assume un carattere comunitario più ampio, che oggi potremo definire sociale, tale da giustificare l’accredito di questa pratica religiosa alla iniziativa del Governo laico locale. Dice il documento, infatti, che il Consiglio aveva scelto, con soddisfazione di tutti i presenti, il nome del Reverendo Padre Frà Prospero da Tereglio per predicare la parola di Dio nella nostra chiesa di S. Iacopo durante il periodo della quaresima e a tal fine dava mandato ai consiglieri Bartolomeo e Antonio Giudici, perché riuscissero ad ottenere il benestare della competente autorità ecclesiastica. Nel Decreto del 29 marzo 1633 viene riportato un altro analogo caso, riguardante il Padre Frà Lorenzo Cardosi il quale, come sta scritto, non solo era bene accetto come predicatore, ma così ben voluto da tutta la popolazione per la sua grande familiarità, che il Consiglio richiedeva ai superiori religiosi la residenza effettiva di tale padre nel Convento di S. Francesco del Borgo. Il Consiglio – conclude Giacomo Amaducci – si esprimeva così benignamente nei suoi confronti da nominarlo addirittura come patriotto e da annoverarsi e da amarsi come se di noi e fra noi fosse nato”.