La miseria nera e la zuppa di mezzogiorno

Da bambino la mia nonna materna, che si chiamava Gina, mi raccontava della grande miseria della sua giovinezza (era nata nel 1894). Suo padre, dal cognome Martini, era venuto al Borgo da Vallico Sopra, aveva una certa agiatezza che gli aveva permesso di comprare una casa, con la bottega sulla strada principale, dove fabbricare i chiodi, quelli fatti a mano; un mestiere antico praticato da generazioni in Val di Turrite. Con la nascita delle industrie i chiodi cominciarono a farli nelle grandi fabbriche e così il “chiodino”, come tutti chiamavano quel mio bisnonno, fu costretto a cercarsi una nuova occupazione, ma non fu facile e dovette vendere la bottega ed anche la casa. Cose che gli riuscirono bene, oltre a qualche giornata da scalpellino precario, fu fare figli (ne ebbe dieci) e trascinarsi per le tante osterie del Borgo; convivendo con una miseria che, come diceva mia nonna, “era davvero nera”. Poi 4 dei 10 figli si imbarcarono per l’America e 2 figlie trovarono lavoro nella fabbrica della Cucirini, in piazza della stazione che, come vedremo dalle Memorie di un guardiano del convento, fu aperta al Borgo nel 1906 “per compassione del paese e per dare lavoro alle donne ch’erano disoccupate”.

Negli anni della miseria nera per la famiglia di mia nonna, ma anche per tanti altri, una soluzione era la distribuzione della zuppa che i frati facevano al convento, annunciandola con il suono della campana a mezzogiorno. Una zuppa fatta con le verdure degli orti, coltivati da frati e garzoni e con quanto i figli di S. Francesco, sacerdoti e “zuccotti”, raccoglievano nei vari paesi del circondario attraverso la “questua”. Anche i frati del convento, come Frà Galdino nei Promessi Sposi, andando in cerca di aiuti, potevano dire: “noi siamo come il mare, che riceve acqua da tutte le parti e la torna a distribuire a tutti i fiumi”.

Quel racconto sulla povertà, che da bambino mi poteva apparire una drammatizzazione di mia nonna per convincermi a mangiare o ad essere più buono, era invece una amara realtà di quegli anni a cavallo tra il XIX ed il XX secolo; perfino documentata da due foto molto belle, di fine ottocento, che Francesco Maria Pellegrini ci ha regalato nel suo splendido libro, più volte citato, “Borgo a Mozzano e Pescaglia nella storia e nell’arte”. Foto che non possiamo fare a meno di riportare anche in questo testo.

La distribuzione della zuppa al convento
La distribuzione della zuppa al convento