La questua
In più occasioni abbiamo accennato alla questua che i frati del convento facevano in paesi vicini e lontani, avvalendosi anche di “ospizi” dove i frati questuanti potevano sostare, riposare e depositare quanto raccolto (abbiamo visto che il convento del Borgo possedeva un ospizio a S. Gemignano di Ponte a Moriano ed uno a Camigliano, nel Capannorese). La “questua” era una caratteristica dei cosiddetti “ordini mendicanti”, come veniva definito quello francescano, che inserirono i propri conventi nei centri abitati o attirarono la popolazione intorno alle loro chiese per dare spazio alla preghiera, rinunciando però alle proprietà ed al lavoro nei campi o nei boschi (a differenza dei monaci), dedicandosi completamente all’evangelizzazione, sul luogo o itinerante, con la predicazione ordinaria e straordinaria, fino a ridursi allo stato di mendicità quanto all’economia dei conventi. Nel tempo s’impose la necessità di definire, per i singoli ordini e conventi, le zone di rispettiva questua. Dalle cronache del convento di S. Cerbone dell’anno 1757 si apprende che i frati del “Borgo di Lucca” questuavano in tutta la “pianura” dello Stato di Lucca, “detta delle sei miglia”, ma con il patto di dare “stara quattro di grano al Convento di S. Cerbone”. Il guardiano del Borgo, ogni anno, doveva chiedere licenza a quello di S. Cerbone: “cosa che non veniva mai negata”. Scorrendo i registri del convento del Borgo si trova spesso il riferimento a questa attività, sia nelle entrate, per il ricavato della vendita dei prodotti, sia in uscita, per le spese sostenute dai frati questuanti, per i rimborsi agli stessi o per l’acquisto di “santini” e “medagliette” che venivano distribuite alle famiglie e ai benefattori durante le questue con adeguata benedizione. La raccolta di prodotti, insieme alle offerte per le celebrazioni delle Sante Messe e i rimborsi per le predicazioni, erano le uniche entrate del convento. I prodotti raccolti erano vari: il grano, il vino, l’olio, la farina di “neccio”, le verdure e, perfino, la “gruma”, che poi veniva venduta alla “fabbrica del Burlamacchi” a Lucca (vedi registrazione del settembre 1886). Delle questue fatte o non fatte, per mancanza di frati o per poca “voglia” degli stessi, parla Padre Pacifico Bigongiari nelle sue Memorie pubblicate in questo libro. Anche il Padre Antonio Baroni di Dezza, nella sua autobiografia scrive: “A dodici anni essendo la nostra casa frequentata dai frati questuanti del Borgo a Mozzano , vedendo spesso i giovani novizi e studenti del Convento, mi venne l’ispirazione di abbracciare io pure l’ordine francescano per ascendere al Sacerdozio”. Varie erano le località dove i frati del convento arrivavano: a Valdottavo e Torre per il vino, a Tassignano e Motrone per il grano, a Benabbio, Oneta e Cune per la farina dolce, ad Aquilea e Veneri per l’olio, ecc.
I frati, dice Padre Giovannetti in una sua pubblicazione riguardante il convento di S. Francesco di Lucca, dipendevano dalla popolazione, che era sempre generosa, perché oltre a ricevere un servizio religioso sapeva che il convento era un “porto di mare”, che riceveva ma anche distribuiva ai tanti poveri che, giornalmente, bussavano alla porta; e così avveniva anche per la “zuppa di mezzogiorno”.