La chiesa

La chiesa, dedicata al Santo Patrono Francesco, fu il primo edificio ad essere fondato; con una pianta di forma rettangolare allungata, in una unica navata.

Conteneva cinque altari, dei quali il maggiore era compreso entro la gradinata del presbiterio e gli altri quattro erano nella navata della chiesa, due a destra e due a sinistra, ognuno di fronte all’altro.

La copertura era ottenuta mediante capriate lignee in vista e, dietro l’altare maggiore, si trovava il coro, di pianta quadrangolare, coperto questo a volta.

L’interno della chiesa

Circa cento anni dopo la fondazione della chiesa anche la navata fu coperta con volta reale. Si legge nelle Cronache che i lavori per questa nuova opera iniziarono l’8 maggio 1656 e terminarono l’8 ottobre dello stesso anno, grazie anche alla elemosina di 200 scudi “legati gratis” di Bartolomeo Nardi di Cerreto di Sopra, il cui nome e l’“arme” del casato appare in una delle lunette affrescate del chiostro (la numero cinque, partendo dalla scena della nascita ed andando in senso orario, come sempre si farà nella numerazione delle lunette).La conformazione originale della Chiesa, ci dice la Toti Salvetti, con il coro voltato e la navata unica coperta da capriate lignee (ancora visibili nel sottotetto) riprendeva la tradizione francescana più antica e più vicina alle primitive regole di povertà.

Il coro veniva considerato il luogo del sacro e doveva, attraverso le sue strutture, distinguersi ed essere separato dalla navata, pensata come un contenitore, le cui pareti portavano verso la luce del coro, che entrava attraverso il grande finestrone posteriore. Nelle prime chiese dell’Ordine e in genere nelle chiese degli ordini “mendicanti” (Francescani, Domenicani, Carmelitani, Agostiniani e Serviti), la separazione era ottenuta, spesso, da un vero e proprio muro, nel quale si aprivano alcuni varchi, che permettevano ai fedeli di assistere all’Eucarestia. Nella chiesa del Borgo la separazione era ottenuta con un cancello “che stava a metà della chiesa” e che “stava serrato”, che fu levato nel 1641, durante i lavori di rifacimento del pavimento della chiesa.

Dal “Libro” del Brandeglio si apprende che sulla porta maggiore della chiesa c’è indicato l’anno della costruzione, “inciso in punta di chiodi grossi della sua serratura fatta il 1528 o 1527 perché il numero ultimo è oscuro”. Data che non si riesce a leggere nei chiodi dell’attuale portone.

Le Cronache dicono che la chiesa è lunga 40 braccia e larga 15 e contiene 5 altari, “uno che è maggiore dedicato a S. Francesco, essendo prima in legno, fu fabbricato di marmi con la statua del S. Patriarca; due altari laterali sono dedicati alla SS. Concezione di Maria Vergine (il primo a destra) ed uno a S. Antonio da Padova (il primo a sinistra)”.

Anche il Brandeglio, parlando dei cinque altari, scrive:

“il maggiore entro la gradinata e 4 nel suo piano: tutti al di contro. Il maggiore è dedicato a S. Francesco. Il primo a mano sinistra nel piano della chiesa è a S. Antonio da Padova; il 2° è alla Madonna degli Angeli è privilegiato ad septennium per tutti i sacerdoti Regolari e Secolari… Il primo a mano destra è dedicato alla SS. Concettione Immacolata ed era di casa Pieroni… L’altro altare a mano destra è dedicato all’Ascensione del N\o S\re, al quale è canonicamente eretta la Compagnia del Cordone con bolla del 3 agosto 1587… Annessa alla chiesa sta una cappella detta di S. Elisabetta eretta fino dal 1525 e ampliata e allungata nel 1638”.

Già il Pulinari, come ci conferma in una sua nota Padre Giovannetti, scrisse che la Chiesa di S. Francesco del Borgo aveva cinque cappelle (o altari); la maggiore nel presbiterio e quattro laterali, sulle quali avevano il padronato più persone.

Nella chiesa vi era una sepoltura, ora ripiena, della famiglia Benedetti, nella cui lapide era inciso: “Sepulchrum Familiare de Benedictis”. La lapide la posero i religiosi, che poi la sostituirono nel 1745.

L’Amonaci, nel suo libro sui conventi dell’Osservanza Francescana, ci offre una descrizione più precisa della Chiesa dicendo che “stando alle indicazioni delle fonti, essa si presentava a navata unica, con il soffitto a capriate fino al vano della cappella maggiore, che invece era voltata. Un tramezzo separava il coro dalla zona riservata ai fedeli: vi erano cinque altari, compreso quello maggiore, dedicato alla Madonna degli Angeli. A destra, iniziando dall’entrata, si trovano l’altare della Concezione, l’unico in patronato ad una famiglia del Borgo (Pieroni); seguiva quello dedicato all’Ascensione di Cristo, dove si radunava la Compagnia del Cordone o del Terz’Ordine, fondata nel 1587; di fronte sulla parete sinistra, fino al 1614, vi era l’altare con la tavola della Natività, seguiva quindi quello riservato al culto di San Bernardino, che recava il dipinto raffigurante il Santo con la Madonna e il Bambino e San Giovanni Evangelista: quest’opera, a differenza delle altre realizzate nel cinquecento, è tutt’ora presente, collocata però sul primo altare a destra”.

Un'immagine del soffitto della chiesa
Un’immagine del soffitto della chiesa

Dalle Memorie del Padre Pacifico Bigongiari si apprende che l’8 dicembre 1908 si conclusero i lavori di restauro della chiesa del convento, che venne riaperta al culto dopo un lungo periodo di chiusura per lavori.

“La volta – scrive Padre Bigongiari – è stata interamente affrescata dal pittore Vincenzo Coccia che, sull’arco maggiore, ha realizzato le statue finte di San Iacopo e San Rocco, protettori delle due parrocchie del Borgo. Il pittore ha ricevuto molti applausi e ben meritati. È stato rifatto anche il pavimento della chiesa e della sacrestia, con mattonelle di cimento prese a Pisa; è stato murato dal capo mastro muratore Salvatore Mariani e figli, insieme al muratore Cavallari; ed è riuscito bene. Sono state fatte anche le banche nuove, opera di un legnaiolo di Oneta (forse Maurizio Micheli). La inverniciatura degli altari di legno, dei confessionari ed altro da un certo Gigino falegname del Borgo. La spesa totale fu di £. 1.600 circa che il P. Giacomo Cecchini guardiano si occupò di trovare in limosine”. Oltre alle “finte statue” di S. Iacopo e S. Rocco, il pittore Vincenzo Coccia affrescò la volta della chiesa con un cielo stellato contenente diversi medaglioni che raffigurano: S. Bernardino da Siena, S. Leonardo da Porto Maurizio, S. Bonaventura Cardinale di S.R.C., S. Giacomo della Marca, S. Domenico e S. Rita da Cascia. Altri due medaglioni contengono, rispettivamente, la Colomba dello Spirito Santo e la “M” di Maria contornata da angeli. Tutti i suddetti medaglioni fanno da cornice ad uno più grande raffigurante il Cristo, con la scritta “Iesus Christus Salvator Noster”.

Altre immagini del soffitto della chiesa
Altre immagini del soffitto della chiesa

Sopra le immagini di S. Rocco e S. Iacopo, sull’arco dell’altare maggiore, sono raffigurati a sinistra S. Pietro e a destra S. Paolo, mentre al centro c’è lo stemma francescano con le braccia incrociate di Cristo e S. Francesco, stemma scolpito anche nel marmo del basamento della statua del Patriarca che si trova sull’altare maggiore. Anche il soffitto del coro è stato sicuramente affrescato nello stesso momento; spartito in quattro parti contiene le figure femminili delle quattro virtù teologali (la prudenza, la giustizia, la fortezza e la temperanza). Il pittore Vincenzo Coccia ha impresso la data del “MCMVIII” (1908) su uno degli stemmi in gesso che sovrasta l’altare dell’Assunta; su un altro di questi stemmi in gesso c’è la dedicazione dell’altare “D.O.M. AC MARIAE ASSUMPTAE DICATUM” (Dedicato a Dio, l’Ottimo, il Massimo e a Maria Assunta). Anche sopra l’altare di fronte a quest’ultimo, quello con il Crocifisso in legno del Santini, c’è uno stemma in gesso con la scritta “VIRO DOLORUM DICATUM” (Dedicato a l’Uomo dei dolori).

L’Amonaci nel suo libro parlando del soffitto scrive: “è spartito da tre campate a volte a crociera (1656); le vele delle volte simulano un cielo stellato, al centro di esse sono dipinti busti di santi entro tondi o formelle polilobate (inizi sec. XX)”.

Diversi anziani hanno raccontato che per le figure rappresentate nel soffitto dal pittore Vincenzo Coccia avevano posato persone del paese, che durante le

funzioni religiose avevano modo di ammirarsi. Le strutture della chiesa, ci dice l’Architetto Toti Salvetti, sono giunte a noi senza cambiamenti di rilievo, ma la semplicità originaria dell’interno è andata scemando e si sono susseguiti, nel tempo, vari stili e vari artisti che, operando con materiali diversi, hanno reso più ornato l’ambiente.

Ad oggi la situazione è la seguente:

il primo altare a destra entrando è quello in legno dell’Immacolata Concezione, fatto fabbricare nel 1642 dalla “Compagnia della SS. Concezione” e realizzato da Francesco Santini da Cerreto di Sotto.

I quattro altari della chiesa
I quattro altari della chiesa

L’inaugurazione avvenne per la festa del Perdono del 1642 e “Trovasi scritto che il primo giorno di agosto si comunicarono 1500 persone e il 2 agosto, 1600”. L’altare contiene tre dipinti ad olio su tela incollati su tavole; una pala centrale raffigurante l’Immacolata Concezione (cm. 82x200) nel cui ventre si vede il Bambino; ai piedi della Vergine è riportata la scritta: “Almae Societatis Impensis – AD MDCLXX” (traduzione: “fu fatto con le spese dell’Alma Società nell’anno del Signore 1670”).

La statua di S. Antonio da Padova
La statua di S. Antonio da Padova

Lateralmente ci sono due tele: quella di sinistra raffigura S. Giovanni Battista (cm. 52x195) e quella di destra San Francesco e San Bernardino (cm. 56x195). I quadri laterali hanno una funzione di porte per accedere all’interno dell’altare, mentre la pala della Vergine poteva scorrere su dei binari in ferro; dietro la pala c’è una statua dell’Immacolata, in cartapesta, che veniva portata in processione. A proposito di questo altare, nell’ultimo registro di Cronache, quello che va dal 1952 al 1981, si apprende che il 14 settembre 1954 fece visita al convento Padre Uriel Smets, francescano belga, per uno studio sulla pala raffigurante l’Immacolata. Lo studioso confermò che la tela della Madonna è un’opera di scuola tedesca o fiamminga, di notevole interesse storico e artistico, probabilmente del secolo XVI. Non si sa come sia capitata nella chiesa, ma non ha a che fare né con l’altare, realizzato dal Santini, né con le pitture laterali, che sono d’altra mano. Di recente si è notato che dietro le tele ci sono tracce ben visibili dell’altare esistente prima dell’attuale in legno.

A proposito di queste due figure (a destra San Bernardino e a sinistra Giovanni Evangelista) l’Amonaci sostiene che c’era un altare dedicato al culto di San Bernardino, dove oggi è sistemato quello di S. Antonio da Padova.

Francesco Maria Pellegrini conferma la realizzazione di questo altare nel 1642 per mano di Francesco Santini.

Le tre tele sono state restaurate nell’anno 2001 dai restauratori de “Lo Studiolo” avente sede a Lucca, con il contributo dell’Istituto Storico Lucchese - Sezione di Borgo a Mozzano.

Il secondo altare a destra è dedicato all’Assunzione di Maria in Cielo e contiene il grande quadro realizzato da Pietro Ricchi detto “il Lucchese” (Lucca 1606 - Udine 1675), raffigurante l’“Assunzione della Vergine con Santi”, dipinto nel 1668.

In origine il quadro (cm. 235 x 342 – sagomato nella parte superiore) era stato posto sull’arco dell’Altare Maggiore, ma le Cronache dicono che il Padre guardiano dell’epoca “fece levare il quadro dell’Assunzione di Maria che stava presso l’arco dell’altare, in posizione infelice per il coro, trasferendolo all’altare privilegiato. Il detto quadro era stato dipinto a Venezia da un padre dell’Osservanza nel 1668”.

L’Amonaci ci riferisce che “la grande tela dell’Assunzione della Vergine, attualmente nel secondo altare a destra, fu realizzata a Venezia e destinata, in un primo momento, al Convento di S. Francesco di Lucca; quando nel 1668 giunse al Borgo, fu posta al centro dell’arcata maggiore, bene in vista ai fedeli”.

Anche il Brandeglio nel suo “Libro” riporta che “il quadro che si vede nella volta grande sopra il coro all’altare maggiore, fu donato, libero e senza obbligazione e collocato ivi da padre Osservante di Cerreto di Sotto” (sicuramente Padre Lorenzo Campana).

Questa primitiva collocazione fa dire all’Amonaci che le fonti parlano di un Altare Maggiore dedicato alla Madonna degli Angeli. Sempre l’Amonaci ci dice che il secondo altare, prima della collocazione del quadro del Ricchi, era dedicato all’Ascensione di Cristo e che in quel luogo si radunava la Compagnia del Cordone.

La grande tela è stata restaurata, nell’anno 1996, presso il laboratorio di Villa Guinigi, a Lucca, da parte di Marco Gazzi. Le spese sono state sostenute da Lions Club Garfagnana, dalla Pro Loco di Borgo a Mozzano e dalla Fraternita di Misericordia. Una volta restaurato il quadro fu inviato ad una mostra organizzata dal Museo Civico di Riva del Garda (Trento), dedicata a Pietro Ricchi, che si tenne nel periodo settembre - dicembre 1996.

Il Ricchi, che è autore di un quadro presente nel secondo altare a sinistra della grande chiesa di San Francesco a Lucca dedicato a S. Antonio da Padova, lavorò a Roma, Parigi, Lione, Tours, Venezia e Padova. A Lucca fu allievo di I. Sani, del Reni a Bologna, ecc.

Il quadro dell’Assunzione di Pietro Ricchi

Dopo la pubblicazione di questo libro mi è capitato di vedere una recensione del quadro dell’ “Assunzione della Vergine e Santi” su un testo dal titolo “Pietro Ricchi (1606-1675)”, Skira Editore, pubblicato nel 1996, in occasione della grande mostra di Riva del Garda.

La descrizione del quadro è la seguente: “in alto la Vergine ascende territori celesti sotto la spinta di angeli di varie età e dimensioni: in basso un consesso di santi e apostoli attorno al vuoto sepolcro; si riconoscono, da sinistra a destra, i santi Bonaventura, Ludovico da Tolosa, il Beato Giovanni Buonvisi, Chiara e, forse, Caterina d’Alessandria. Sconosciuto alle fonti, questo dipinto è stato scovato da Vincenzo Tani ed identificato come raro prodotto lucchese (riguardo alla destinazione, naturalmente) del Ricchi da Alberto Ambrosini”. Nel testo sopra richiamato la tela viene datata attorno al 1656-57.

Il primo altare a sinistra entrando, anch’esso in legno, è dedicato a S. Antonio da Padova, rappresentato in una statua realizzata in cartapesta imbevuta in olio di lino bollente, presumibilmente, degli inizi del XX secolo (foto a pag. 46). Un primo altare dedicato al Santo di Padova risale al 1646, essendo guardiano il M.R. Padre Pietro Paolo Giannelli del Borgo.

L’Amonaci ci dice che, fino al 1614, in questo luogo vi era l’Altare con la tavola della Natività, oggi non più esistente al convento.

Anche Francesco Maria Pellegrini, nel suo libro, ci fornisce notizie preziose su questo altare, che definisce “lavoro assai simile” a quello realizzato da Francesco Santini, dicendo che “fu compito nel 1714 dai maestri Bartolomeo e Alessandro Santini, in sostituzione di quello che vi esisteva, costruito in pioppo nel 1647”.

Nel 1722 all’altare di S. Antonio fu fatta la mensa di pietra; al Santo si fece l’aureola d’argento; al Bambino Gesù si mise una collana d’argento.

Il 6 agosto 1907, come ci riferisce Padre Pacifico Bigongiari nelle sue Memorie, fu inaugurato il paliotto all’altare di S. Antonio, tuttora visibile, con la pittura del Santo; opera di un signore inglese amico del Padre Candido Barsotti di Corsanico. Il signore inglese abitava nella Villa Simoncini presso Massa Pisana con la moglie e il paliotto fu un regalo dei due coniugi inglesi.

Quando la Misericordia ebbe in affidamento il convento, facendo una ricognizione su questo altare, ci si rese conto che c’era, all’interno della struttura in legno, al di sotto della statua del Santo, una tela che, con un sistema di corde e carrucole, poteva essere alzata per coprire la statua stessa. Il marchingegno non era però più funzionante e la tela, che rappresentava anch’essa il Santo di Padova, era in precarie condizioni.

Il paliotto dell'altare di S. Antonio
Il paliotto dell’altare di S. Antonio

Fu così deciso di avviare questa tela al restauro e di usarla poi come quadro di S. Antonio da esporre durante la festa. Della tela e delle sue caratteristiche parleremo successivamente elencando i quadri esistenti al convento.

Il quarto altare, secondo a sinistra, contiene invece un grande Crocifisso in legno realizzato da Alessandro Santini di Cerreto di Sotto nell’anno 1720. I Santini dovevano avere una importante bottega di ebanisti intagliatori e loro lavori si ritrovano in altre chiese della Valle del Serchio. Alessandro è anche autore dell’altare di S. Antonio.

La porticina del ciborio dell'altare maggiore
La porticina del ciborio dell’altare maggiore

Padre Giovannetti in una sua nota scrive che “al dì 5 aprile 1721 si collocò sull’altare maggiore il Crocifisso, che si venerò con molta devozione, che fu fatto a misura grande d’un uomo dal M° Alessandro Santini, figlio del Caporale Bartolomeo Santini di Cerreto di Sotto e fu dipinto da Gio. Landi, fiorentino. Costò lire 52, più lire 34 per la doratura, senza valutare il legno della croce”.

Sempre nella stessa nota Padre Giovannetti ci informa che, al momento della collocazione sull’altare maggiore della statua in marmo del Serafico Padre S. Francesco, il Crocifisso, che era stato fatto fare dal Padre Valerio di Diecimo, fu collocato nel coro sopra il finestrone.

Francesco Maria Pellegrini, nel suo libro, conferma che il Cristo in legno fu fatto da Alessandro Santini nel 1720 e che del Santini erano anche i quattro angeli dorati dell’altare maggiore, di cui parliamo nel capitolo dedicato a quell’altare.

L’Amonaci ci dice che questo altare era riservato al culto di San Bernardino e conteneva il dipinto raffigurante il Santo con la Madonna e il Bambino e San Giovanni Evangelista; l’Amonaci sostiene che quest’opera, a differenza di altre realizzate nel cinquecento, è tutt’ora presente, collocata però nel primo altare a destra (a corredo della pala dell’Immacolata Concezione).

Oltre alla descrizione degli altari è importante segnalare altre tele che si trovano nella chiesa.

La statua in cartapesta di S. Antonio da Padova

A proposito della statua in cartapesta, citata a pag. 48 del libro (con foto a pag. 46), ho potuto appurare, in occasione della festa triennale del Santo, tenuta il 5 e 6 luglio 2014, che la statua è stata realizzata dalla “Scuola L. Guacci Lecce”, come risulta scritto a sinistra sul basamento.

Il laboratorio, dove l’immagine in cartapesta è stata realizzata, è quindi l’ Istituto di arti plastiche realizzato da Luigi Guacci (1871-1934) a Lecce nei primi anni del XX secolo, dove lavoravano oltre ottanta cartapestai, discepoli delle migliori botteghe del tempo.

Alla morte del fondatore, la ditta fu ereditata dal figlio Gaetano, ma dopo poco fu chiusa definitivamente.

Tante opere, tra cui anche un S. Antonio che si trova a Milano, risultano eseguite attorno al 1902.

Sul lato sinistro dell’Altar Maggiore esiste una tela raffigurante la Madonna con Bambino, di fronte alla quale sono inginocchiati in preghiera due Santi francescani che, secondo Padre Giovannetti, è opera di un “pittore fiorentino di Gallica” del 1695, che rappresenta i Santi Giovanni da Capestrano e Pasquale Bajlon. Il quadro potrebbe essere della scuola del Marracci e rappresentare San Bernardino da Siena ed altro Santo francescano (forse San Giovanni da Capestrano).

Dalla parte opposta, a destra dell’Altar Maggiore, è posto un quadro che raffigura “l’apparizione di Cristo a S. Elisabetta d’Ungheria”.

Il quadro è stato restaurato, a carico della Soprintendenza, nell’anno 2000 dallo Studio EsseDi di Pietrasanta (restauratrici Daniela Frati e Sonia Balderi), per essere esposto ad una mostra, tenuta a Camaiore in quell’anno sul pittore Lucchese Giovanni Marracci (Camaiore 1637 - Lucca 1703), autore del quadro, che lo dipinse nel 1688 (data confermata anche da Francesco Maria Pellegrini).

L'Altare della Concezione
L’Altare della Concezione

Anche Padre Giovannetti in una sua nota conferma l’autore, mentre lo dice realizzato nell’anno 1689, essendo guardiano Padre Lorenzo Campana del Borgo. Ci dice anche che “fu fatta la cornice al quadro di S. Elisabetta, posto in chiesa d’incontro all’altro di S. Giovanni da Capestrano e di S. Pasquale Bajlon”. Sempre a proposito di questo quadro, Francesco Maria Pellegrini nel suo libro scrive che fu dipinto “nel 1688 da Giovanni Marracci, buon pittore lucchese, scolare di Pietro Paolini e di Pietro Berrettini da Cortona”.

I quadri della Via Crucis che si trovano in chiesa non sono gli originali. Quando la Misericordia ha avuto in affidamento il convento le 14 stazioni erano rappresentate da moderne formelle di terracotta, non particolarmente belle e nemmeno intonate all’ambiente. Fu così che, in occasione di una visita al convento di San Francesco di Lucca, nel momento della chiusura, si riuscì ad ottenere dai frati le stampe, incorniciate, di una “Via Crucis” che, forse, era sistemata in qualche cappella del grande complesso conventuale lucchese, assai più adatte delle formelle in terracotta. Osservando bene una vecchia foto, presente sul libro di F.M. Pellegrini, che raffigura l’altare della Concezione, si nota, in alto sulla destra, uno dei 14 quadri ad olio della “Via Crucis” che erano presenti a quel tempo (1920) nella chiesa di S. Francesco e di cui non si conoscono ulteriori notizie.

All’ingresso della chiesa c’è una bussola in legno e vetro, con la porta grande a due ante e due porte laterali.

Per trovare la data di costruzione è stato necessaria una ricerca storica, essendo questa la scritta in latino, incisa nel legno: “Factum anno XXVI Pontificatus Pii Papa IX Pontificis Maximi. Iesu et Mariae Laus et Gloria” (traduzione: fu fatto nel 26° anno di Pontificato di Papa Pio IX Pontefice Massimo. A Lode e Gloria di Gesù e Maria).

Giovanni Maria Mastai Ferretti (Pio IX) fu eletto Papa il 16 giugno 1846 ed il suo Pontificato durò 32 anni, fino alla morte avvenuta il 7 febbraio 1878. Il 26° anno di pontificato è pertanto il 1872, data di costruzione della bussola in legno.

A riguardo della chiesa nei libri cassa si trova scritto che nel novembre del 1938 il pittore Pellegrino Lamberti di Cerreto dipinse lo zoccolo della chiesa (oggi coperto da lastre di marmo grigio), con una spesa di £. 289,00; nel febbraio 1939 si pagò “per un ciborio nuovo al Micheli” £. 230,00 (si dovrebbe trattare del ciborio in legno che veniva usato per fare il “sepolcro” del Giovedì Santo e il falegname scultore potrebbe essere stato Sirio Micheli, bravo ebanista); nel dicembre 1939 furono venduti “ex voti”, con il permesso del Provinciale, incassando la discreta somma di £. 432,00; nel maggio 1940 si fece l’imbiancatura della facciata del convento e della Chiesa.

Nella chiesa è collocata anche una statua del Sacro Cuore di cui si parla a pag. 184 e in sacrestia è conservata una statua in gesso del “Cristo risorto”, alta cm. 83, con il braccio sinistro alzato, mentre con il destro regge una bandiera bianca, con una Croce ricamata. La statua, per tradizione, viene “scoperta” al canto del Gloria, durante la Messa della notte di Pasqua ed esposta sull’altare dell’Assunzione per tutto il periodo pasquale.