La cucina e gli ambienti verso Macea
La cucina è sempre stata invece in una posizione non molto felice perché era situata, nella configurazione iniziale del complesso conventuale, “ultima nell’angolo superiore del convento verso l’orto e lavatorio” e quindi piuttosto distante dal refettorio dal quale la separavano ben tre ambienti (l’andito di passaggio verso l’orto, la stanza dei lavatoi e barberia, la stanza del fuoco comune). La lontananza della cucina dal refettorio fu la causa delle modifiche strutturali avvenute in questa parte di edificio opposta alla chiesa. Dei tre ambienti che separavano la cucina dal refettorio quello più vicino alla cucina era il fuoco comune, così chiamato perché comprendeva un grande camino intorno al quale i frati si riunivano nei momenti di riposo, specialmente la sera. Era un ambiente raccolto e caldo, illuminato da una finestra, della quale è ancora visibile la cornice in arenaria all’esterno verso il giardino. Nel secondo ambiente, piuttosto ampio, erano riunite varie funzioni: vi si faceva la “baguta” e vi erano due conche che dovevano servire anch’esse per il lavaggio dei panni. Vi era poi il banco per la barberia, che doveva consistere in un tavolato dove erano conservati gli attrezzi necessari. In questo luogo si asciugavano i frati quanto venivano da fuori; accanto a questo ambiente c’era la scala, fatta a mattoni, per salire al dormitorio, alla cui base c’erano due conchette per lavare i piedi. Il terzo ambiente era l’andito di accesso al refettorio ed al giardino.
Più volte, dice il Brandeglio, fu pensato di avvicinare la cucina al refettorio, per renderla più comoda, ma nessun provvedimento veniva messo in pratica, sia per la mancanza di denaro, sia per l’opposizione dei frati più anziani, non disponibili ai cambiamenti.
Fu il Padre Lorenzo Campana, di Cerreto di Sotto, a rompere gli indugi nell’anno del suo guardianato, il 1689, dando il via ai lavori di ristrutturazione della cucina, che venne trasferita nella prima stanza dopo l’andito, dove è stata fino all’apertura del Centro Accoglienza Anziani, quando è stato necessario predisporre una seconda sala da pranzo, oltre a quella sistemata nell’antico refettorio. La cucina del Centro attuale è tornata nella zona delle origini, nell’angolo superiore del convento verso Macea.
La stanza del fuoco comune fu trasformata in “carabotto”, termine con il quale i frati indicavano una dispensa dove, in genere, venivano conservati i coppi dell’olio, il formaggio ed altri generi alimentari. Venne distrutto il camino che era in questa stanza e così fu fatto per il focolare della vecchia cucina. Questi cambiamenti, dice il Brandeglio, scatenarono una serie di discussioni al convento e i frati “in pubblico e in privato si querelavano”.
Nonostante le polemiche il Padre Lorenzo Campana continuò nella sua opera, forte anche dell’appoggio del “cucinaro”, il frate Francesco di Montignoso che, sulla cucina, poteva aver bene l’ultima parola.
Durante il guardianato del Campana fu iniziata anche la costruzione di quei locali o corridoi che aggettano a nord, dietro la vecchia cucina, utili per mettere in sicurezza la cucina stessa e regimare le acque che scendevano dal monte. Questi locali serviranno anche per il rialzamento del piano superiore che, negli anni seguenti, sarà realizzato. Le stanze del piano superiore dovevano servire per contenere i panni, gli abiti e la biancheria, a supporto del dormitorio. La “giunta” non fu terminata perché Padre Lorenzo non fu confermato nell’incarico di guardiano, probabilmente anche per le polemiche connesse ai lavori affrontati. Questi furono continuati dal Padre Bernardino da Pescaglia che terminò la costruzione di una nuova scala per il dormitorio e riorganizzò il fuoco comune. Finalmente nel 1699, dopo circa dieci anni dall’inizio delle ristrutturazioni e delle polemiche, essendo Provinciale il M.R.P. Giuseppe di Firenze, eletto nel Capitolo di Fiesole del 24 giugno 1699, fu possibile pensare alla definizione di tutti i progetti di trasformazione di questa zona del convento, contando su due situazioni favorevoli: l’elezione a guardiano del Padre Antonio da Brandeglio e la elezione per la Custodia di Lucca del Padre Alessandro della Cune, entrambi favorevoli all’impresa. Furono scelti come “fabbriceri” Padre Cherubino di Corsagna e frate Michele “muratore”, pure lui di Corsagna. Fu chiesta anche la collaborazione di “un tal Signor Santi figlio di Maestro Michele oriundo di Cortogira ma habitante in Lucca e perito in architettura”. Proprio il Brandeglio ci riferisce che gli addetti ai lavori studiarono bene il da farsi e quindi, venuti al Borgo anche il Padre Alessandro di Cune e il Padre Cherubino di San Cerbone, il 25 agosto 1699, fu cominciato il lavoro da frate Michele. Per maggior sicurezza fu invocato in tale giorno il Divino aiuto e fu cantata una Messa solenne.
I lavori furono affrontati con speditezza e fu fatta la nuova scala in pietra, quella che ancora oggi, porta al primo piano dall’ingresso principale del Centro. Per la realizzazione di questa scala erano stati portati al convento 50 scudi dal Padre Basilio di Casabasciana, che li aveva avuti, nel 1696, dalle Suore di S. Chiara di Lucca, delle quali era confessore. Gli scalini erano stati fatti lavorare e portati al convento fin dal 1696 per disposizione del guardiano di quell’anno, Padre Francesco di Casabasciana. Lungo la scala furono fatte (nel 1699) le due pitture di cui si parla in un capitolo seguente. Per fare la scala fu necessario gettare a terra la cella soprastante, rifatta poi adiacente al muro del finestrone del corridoio, a lato della scala stessa. Nella cucina fu ricavato un corridoio che permetteva di passare dal refettorio alle scale nuove e agli ambienti successivi, senza passare dal chiostro. Per dare luce a questo corridoio non furono aperte finestre nel muro verso il chiostro, bensì furono lasciate aperte due piccole finestre ed una porta verso la cucina. Sotto la scala fu ricavato un carabotto ed uno fu fatto a metà della scala per tenervi la frutta; questo carabotto è tuttora esistente.
I lavori andarono avanti dal 25 agosto al 27 ottobre 1699; l’ impegno fu grande, ma l’opera si dice “terminata” con pace e “satisfazione” di tutti; la spesa fu di 230 scudi.
Nel 1723 fu spostata all’esterno la stanza delle conche per il bucato, in una capannetta vicina alla “pescheria” dell’orto, dove anche oggi sono visibili; fu organizzata anche una stanzetta per il legnaiolo che prima lavorava nella vecchia aula capitolare dando noia, col rumore, a chi stava in chiesa.Sempre nel 1723, sotto il guardianato di Padre Bonaventura di Diecimo, si mise in cucina una pila nuova per lavare i piatti; essa fu fatta al Bagno (Bagni di Lucca) e portata al convento da ben 24 uomini; potrebbe essere la pila in pietra che si trova vicino al lavatoio del giardino. Negli anni attorno al 1960 l’allora guardiano, Padre Bernardino Michelucci, fece grandi trasformazioni nella zona della cucina eliminando molte delle strutture di cui abbiamo parlato in questo capitolo. Di sicuro fu levato il corridoio che attraversava la cucina, chiusa la porta verso l’andito e aperta quella centrale, in faccia a quella del refettorio, imitandone la cornice di pietra. Furono ampliate le finestre, eliminata la grande cappa del focolare, l’acquaio in pietra serena e sul vecchio pavimento in lastroni di pietra ne fu posto uno nuovo di mattonelle di cemento. Sempre in quegli anni fu aperta la porta che dal chiostro comunica con l’ambiente dove è sistemata la scala, che ha danneggiato assai una delle lunette affrescate del chiostro (la n. 21).