Le sepolture
Quando seppellire nelle chiese divenne un fenomeno ordinario ed era diffusa la mentalità che consegnare ad un particolare luogo sacro i corpi dei defunti rappresentasse una sorta di purificazione per l’ “ultimo giorno”, le chiese dei religiosi furono prese d’assalto da nobili, mercanti e persone benestanti, tanto da suscitare polemiche su cui intervennero vescovi e pontefici. Fin dal 1250 Papa Innocenzo IV aveva concesso ai Frati Minori il diritto di seppellire nelle loro chiese i corpi dei defunti e, tanto per citare un esempio a noi vicino, molte furono le sepolture nel convento e nella chiesa di San Francesco di Lucca, anche se in quella città, come scrive Padre Giovannetti in un suo libro, “la concessione pontificia provocò una lunga polemica”. Al Borgo, convento costruito quasi tre secoli dopo in una contesto sociale ed economico assai più povero, il fenomeno non fu molto diffuso.
Nel convento, in particolare nel chiostro e nella chiesa, si trovano alcune iscrizioni mortuarie e sepolture. Francesco Maria Pellegrini nel suo libro scrive: “noteremo quella di Ascanio Franciotti, morto mentre era commissario della nostra Vicaria nel 1665, e di Paolino Santini medico della Parrocchia di S. Rocco che visse solo 25 anni e morì il 6 febbraio 1842. La pietra con il medaglione, molto somigliante, è di Emilio Santarelli, l’invenzione di Antonio Nencetti. Anche Giovanni Jacopo Bottini, Commissario, fu sepolto qui nel 1713, ma non si conserva la relativa pietra mortuaria, che certo andò perduta insieme a diverse altre che si trovavano in terra, quando fu rifatto il selciato. Nel chiostro è sepolto Matteo Pierotti, che fu padre dell’avvocato Giovanni”.
Di quest’ultimo personaggio il Pellegrini di più non dice; leggendo l’epigrafe si scopre che “ebbe l’onore di sedere deputato nel memorando Parlamento Toscano del 1859”, dove arrivò “per la schietta religione, la carità costante della Patria, l’amore operoso degli uomini”. Il ricordo nel marmo lo vollero “ la moglie Anna e i figliuoli Giovanni Vincenzio e Luigi”. Matteo Pierotti morì a 57 anni il 9 maggio del 1861, 53 giorni dopo la proclamazione del Regno d’Italia.
Il Pellegrini accenna al problema delle sepolture andate perdute quando fu rifatto il “selciato” della chiesa; cosa che, grazie alle Memorie di Padre Pacifico Bigongiari, possiamo datare all’anno 1908, quando, nel periodo maggio - dicembre, ci furono significativi lavori di ristrutturazione, tra cui, appunto, il rifacimento totale del pavimento della chiesa e della sacrestia.
Sempre nel chiostro, tra la porta laterale della chiesa e quella da cui si accede alla sacrestia ed alle scale, c’è una lapide “Alla requie di Sante Papera, dottore in medicina, prudente savio infaticabile, morto il 28 aprile 1854, in età di anni 67”. A porla in quel luogo, i nipoti del Papera, Agostino e Giuseppe Benedetti. All’interno della chiesa, vicino a quella di Ascanio Franciotti, c’è un marmo in ricordo di Ermenegildo Giannelli, chimico farmacista, che “a tutti giovò coll’opera, col consiglio”, che fu “amato stimato in vita” e “dopo morte desiderato”; lo stesso cessò di vivere il 25 agosto 1846 a 66 anni. Di questo personaggio ci parla anche il Pellegrini nel suo libro, scritto nel 1925, dicendo che, alla fine del 1700, “esisteva in Borgo la Farmacia Giannelli (attualmente esercitata dal Sig. L. Amaducci) con barattoli che tuttora si conservano, fatti espressamente a Savona collo stemma del proprietario Ermenegildo Giannelli, chimico farmacista, che possedeva quella farmacia nel secolo prossimo passato”. Il Pellegrini scrive che “fu sepolto nella chiesa dei Francescani”. Di sicuro quel farmacista aveva ben conosciuto, nella spezieria del convento, l’aromatorio fra Arsenio da Tereglio, di cui abbiamo già parlato.
Sulla destra, ancora all’interno della chiesa, vicino all’Altare dell’Assunzione, c’è una lapide in ricordo di una giovane donna: “Antonia del fu Benedetto Benedetti e di Tommasa Papera, terziaria dell’ordine serafico da crudo morbo rapita ai viventi il 2 giugno 1849 nell’età di 34 anni”; a porre il ricordo “i fratelli dolentissimi”. Il fatto che su questo marmo ci sia scritto anche che “le ceneri in questa tomba gentilizia riposano”, fa pensare che questa lapide, così come quella, assai più grande, in ricordo del giovane medico chirurgo Carlo Giovanni Niccolai, figlio di Paolo, che si trova nel chiostro, siano arrivate da qualche cimitero smantellato; forse quello assai grande di S. Iacopo, che si trovava in aderenza alla chiesa del SS. Crocifisso, o quello di S. Rocco, situato vicino all’attuale albergo “ Pescatore”, dalla parte del fiume, più o meno dietro l’attuale Farmacia Sodini. Questi due cimiteri sono stati in funzione fino agli ultimi decenni del secolo XIX, quando fu costruito l’attuale cimitero comunale su progetto dell’architetto Domenico Martini. Vicino alla chiesa del SS. Crocifisso, sul terreno del vecchio cimitero, fu costruita la fabbrica della Cucirini Cantoni e, in una piccola parte, anche la sede storica della Misericordia di Borgo a Mozzano. Sulla lapide del Niccolai, morto a 27 anni, il 17 dicembre 1856, c’è scritto: “qui riposa la salma mortale” ma, in realtà, il grande marmo non copriva alcuna sepoltura, come si è potuto accertare in una ricerca, condotta a questo scopo da Lorenzo Lanciani nel 2012, durante il restauro della seconda lunetta del chiostro; i saggi condotti ci hanno permesso comunque di trovare l’originale porticina di accesso alla chiesa che, come diciamo in altra parte del libro, è stata opportunamente valorizzata. Nel marmo in questione c’è lo stemma dei Niccolai, che avevano il palazzo di fronte alla piazza di San Rocco, sopra la volta della vecchia strada che conduce a Cerreto, che si chiama proprio “volta del Niccolai”.
Dalle Cronache si apprende che in chiesa vi era anche una sepoltura della famiglia Benedetti, nella cui lapide era inciso “Sepulchrum familiare De Benedictis”. La lapide la posero i religiosi che poi la sostituirono nel 1745.
Dare possibilità di sepoltura nelle chiese doveva portare buoni introiti nelle casse dei conventi se è vero che nel 1725 il Pontefice Benedetto XIII, dopo aver celebrato il Concilio in Roma, con la Bolla “Romanus Pontifex” del 28 aprile, ordinò alle chiese dei Regolari di trasmettere alla Sede Apostolica la quarta parte degli introiti delle sepolture delle loro chiese.
L’alternarsi nel convento degli Osservanti e dei Riformati fino al 1917 rese difficile, se non impossibile, un discorso chiaro sulle sepolture.
Un documento del Ducato di Lucca datato 24 settembre 1818, indirizzato al Presidente dei Francescani al Borgo, comunica la volontà “dell’Augusta Sovrana” Maria Luisa di Borbone di permettere “che tutti i religiosi di ambo i sessi, che si troveranno riuniti in vita comune, venendo a mancare, possano essere tumulati nella rispettiva Chiesa”.
Ancora in data 25 ottobre 1824 il Gonfaloniere del Borgo, C. Cristofanini, comunica al Padre guardiano che “S. E. il Ministro Segretario di Stato per gli Affari Esteri e Interni” del Ducato di Lucca “si è degnato di secondare la domanda rassegnatale dalle Suore di S. Francesco di questo Capo=Luogo, diretta ad ottenere, in caso della Loro morte di essere tumulate in cotesta Loro Chiesa nel particolar Deposito che hanno esposto di avervi”. Il “particolar Deposito” era la cappella di S. Elisabetta.